Sei progetti contraddittori per l’ordine mondiale
di
Thierry Meyssan
Le sei
maggiori potenze mondiali affrontano la riorganizzazione delle relazioni
internazionali in maniera funzionale ai propri esperimenti e sogni. Con
prudenza si adoperano per difendere i propri interessi prima di portare
avanti la loro visione del mondo. Thierry Meyssan descrive le
rispettive posizioni prima dello scontro.
Il ritiro degli Stati Uniti dalla Siria, benché immediatamente rettificato, indica che Washington vuole certamente smettere di essere il gendarme del mondo, l’impero da cui nessun Paese può prescindere. Senza esitazione ha sovvertito ogni principio che regola le relazioni internazionali. Siamo entrati in un periodo di transizione in cui ogni grande potenza persegue un nuovo programma. Ecco i principali.
I tre grandi
- Gli Stati Uniti d’America
- Il crollo dell’Unione Sovietica avrebbe potuto causare anche quello degli Stati Uniti, giacché i due imperi si sorreggevano a vicenda. Non è accaduto. Con l’operazione “Tempesta del deserto” George Bush senior si assicurò che Washington diventasse leader mondiale incontrastato, indi smobilitò un milione di soldati e proclamò che il fine americano sarebbe stato la ricerca della prosperità.
- Le società transnazionali suggellarono perciò un patto con Deng Xiaoping al fine di far produrre le merci agli operai cinesi, retribuiti un ventesimo di quelli statunitensi. Ne conseguirono un notevole sviluppo del trasporto internazionale delle merci e la progressiva scomparsa di posti di lavoro nonché delle classi medie statunitensi. Il capitalismo industriale fu soppiantato dal capitalismo finanziario.
- Alla fine degli anni Novanta Igor Panarin, professore all’Accademia diplomatica russa, analizza il crollo economico e psicologico della società statunitense. Prevede la disintegrazione degli USA, sul modello di quanto avvenuto con l’insorgenza dei nuovi Stati in Unione Sovietica.
- Per evitare il collasso, Bill Clinton svincolò il Paese dal diritto internazionale, facendo aggredire la Jugoslavia dalla NATO. Lo sforzo si rivelò insufficiente, sicché personalità statunitensi pensarono di adattare il Paese al capitalismo finanziario e organizzare con la forza gli scambi internazionali in modo tale che gli anni a venire fossero “un nuovo secolo americano”.
- Con George Bush figlio, gli Stati Uniti abbandonarono la posizione di nazione leader per tentare di trasformarsi in potere unipolare assoluto. Lanciarono la “guerra senza fine”, o “guerra al terrorismo”, per distruggere, una a una, ogni struttura statale del Medio Oriente Allargato.
- Barack Obama proseguì l’opera, associandovi una frotta di alleati.
Una politica che portò frutti, di cui però beneficiarono in pochissimi: i “super-ricchi”.
Gli statunitensi reagirono eleggendo Donald Trump alla presidenza
dello Stato federale. Trump ruppe con i predecessori e, come Michail
Gorbaciov in Unione Sovietica, tentò di salvare gli USA sgravandoli
degli impegni più onerosi. Rilanciò l’economia, incoraggiando le
industrie nazionali a discapito di quelle che avevano delocalizzato
posti di lavoro. Sovvenzionò l’estrazione del petrolio di scisto e
acquisì il controllo del mercato mondiale degli idrocarburi, nonostante
il cartello di OPEP e Russia. Consapevole che le forze armate USA sono
innanzitutto un’enorme burocrazia che sperpera un budget colossale per
risultati risibili, smise di sovvenzionare Daesh e PKK, negoziando con
la Russia un percorso per far cessare la “guerra senza fine” riportando
il minor danno possibile.
Negli anni a venire gli Stati Uniti saranno prioritariamente sospinti dalla necessità di economizzare sugli interventi all’estero, persino di abbandonarli, se necessario. La fine dell’imperialismo non è una scelta, bensì una questione esistenziale, un riflesso di sopravvivenza.
La Repubblica Popolare di Cina
Dopo il tentativo di colpo di Stato di Zhao Ziyang e il sollevamento
di Tienanmen, Deng Xiaoping intraprese il “viaggio verso sud”. Annunciò
che la Cina avrebbe continuato sulla strada della liberalizzazione
economica, stipulando contratti con le multinazionali USA.
Jiang Zemin proseguì l’opera. La costa si trasformò in “officina del
mondo”, dando inizio a un gigantesco sviluppo economico. Ripulì
progressivamente il Partito comunista dei suoi maggiorenti e fu attento a
che i posti di lavoro ben retribuiti si propagassero all’interno del
Paese.
Hu Jintao, mosso dall’intenzione di realizzare una “società
armoniosa”, abrogò le tasse che gravavano i contadini delle regioni
interne, non ancora toccate dallo sviluppo economico. Non riuscì però a
sottomettere i poteri regionali e affondò in una vicenda di corruzione.
Xi Jinping si propose di aprire nuovi mercati attraverso il titanico
progetto di vie commerciali internazionali, le “vie della seta”. Un
progetto maturato però troppo tardi giacché, a differenza
dell’antichità, la Cina non ha prodotti originali da offrire, bensì gli
stessi delle società transnazionali, venduti però a prezzo inferiore. Il
progetto, accolto come una manna dai Paesi poveri, è invece temuto da
quelli ricchi, che si apprestano a sabotarlo.
Xi Jinping sta rioccupando tutti gli isolotti del Mar della Cina,
abbandonati con il crollo dell’Impero Qing e l’occupazione degli otto
eserciti stranieri. Consapevole della potenzialità distruttiva degli
Occidentali, la Cina si allea con la Russia e si preclude ogni
iniziativa politica internazionale.
Negli anni a venire la Cina dovrebbe consolidare la propria posizione nelle istituzioni internazionali, tenendo però presente quanto nel XIX secolo le inflissero gl’imperi coloniali. Dovrebbe vietarsi d’intervenire militarmente e rimanere una potenza rigorosamente economica.
La Federazione di Russia
Con il crollo dell’URSS i russi credettero che si sarebbero salvati
aderendo al modello occidentale. In realtà l’équipe di Boris Eltsin,
formata dalla CIA, organizzò il saccheggio dei beni collettivi da parte
di pochi. In due anni un centinaio di persone, al 97% provenienti dalla
minoranza ebrea, si accaparrarono quanto poterono e divennero
miliardari. Questi nuovi oligarchi si combatterono in una battaglia
spietata, condotta a colpi di mitra e attentati nel cuore di Mosca,
mentre il presidente Eltsin faceva bombardare il parlamento. Senza un
vero governo, la Russia era un relitto. Capibanda e jihadisti armati
dalla CIA organizzarono la secessione della Cecenia. Il livello e la
speranza di vita crollarono.
Nel 1999 il direttore dell’FSB, Vladimir Putin, salvò il presidente
Eltsin da un’inchiesta per corruzione, ottenendo in cambio la nomina a
presidente del Consiglio dei ministri; una posizione che Putin utilizzò
per costringere il presidente a dimettersi e per farsi eleggere al suo
posto. Putin mise in atto una vasta politica di ricostruzione dello
Stato: mise fine alla guerra in Cecenia e abbatté sistematicamente tutti
gli oligarchi che si rifiutarono di piegarsi allo Stato. Il ritorno
dell’ordine significò altresì la fine del sogno occidentale dei russi.
Livello e speranza di vita si risollevarono.
Ripristinato lo stato di diritto, dopo due mandati consecutivi
Vladimir Putin non poté ricandidarsi. Per la sua successione sostenne
uno scialbo professore di diritto, adulato dagli Stati Uniti, Dimitri
Medvedev. Non aveva però intenzione di lasciare il potere in mani
deboli, sicché si fece nominare primo ministro fino alla successiva
rielezione come presidente, nel 2012.
Persuasa, a torto, che la Russia stesse nuovamente affondando, la
Georgia attaccò l’Ossezia del Sud, trovando però immediatamente la
strada sbarrata dal primo ministro Putin, che ebbe così l’opportunità di
toccare con mano lo stato pietoso dell’armata rossa. Grazie all’effetto
sorpresa Putin riuscì comunque a vincere. Rieletto presidente si dedicò
immediatamente a riformare la Difesa. Mandò in pensione centinaia di
migliaia di ufficiali, spesso disillusi, nonché in alcuni casi
alcolizzati, e mise a capo della Difesa il generale tuvano (turcofono di
Siberia), Sergei Shoigu.
Adottando un modo di gestione tradizionale russo, Vladimir Putin
separò il budget civile da quello militare: il primo votato dalla Duma,
il secondo segreto. Ripristinò la ricerca militare, proprio mentre gli
Stati Uniti decisero di non aver più bisogno d’investirvi. Prima di
dispiegare la nuova armata rossa in soccorso della Siria testò grandi
quantità di nuove armi. Le collaudò in situazione di combattimento e
decise quali produrre e quali abbandonare. Organizzò una rotazione
trimestrale delle truppe affinché tutte, una dopo l’altra, fossero
addestrate. La Federazione Russa, che nel 1991 era ridotta a niente, in
diciotto anni è diventata la prima potenza militare mondiale.
Contemporaneamente Putin utilizzò il colpo di Stato in Ucraina per
riprendersi la Crimea, territorio russo che Nikita Krusciov aveva
amministrativamente legato all’Ucraina. Di conseguenza dovette
fronteggiare una campagna di sanzioni agricole dell’Unione Europea, ma
seppe cogliere l’occasione per organizzare una produzione interna
autosufficiente.
Putin strinse un’alleanza con la Cina imponendole di modificare il
progetto delle vie della seta per integrarvi le esigenze di
comunicazione del territorio russo, al fine di fondare un “Partenariato
dell’Eurasia Allargata”.
Negli anni a venire la Russia tenterà di riorganizzare le relazioni internazionali su due basi:
separare i poteri politici e religiosi;
riformare il diritto internazionale sui principi formulati dallo zar Nicola II.
Gli europei dell’occidente
Regno Unito di Gran Bretagna e d’Irlanda del Nord
Dopo la caduta dell’URSS il Regno Unito sottoscrisse con riserva il
trattato di Maastricht: il primo ministro conservatore, John Major,
voleva profittare dello Stato sovranazionale in costruzione tenendone
però al di fuori la sterlina. Sicché fu per lui una buona notizia che
George Soros avesse attaccato la valuta inglese, costringendola a uscire
dallo SME (“serpente monetario” [accordo stipulato nel 1972 dagli Stati
della CEE per mantenere un margine di fluttuazione predeterminato e
ridotto tra le valute comunitarie e tra queste e il dollaro]).
Il successore di Major, il laburista Tony Blair, restituì piena
indipendenza alla Banca d’Inghilterra e pensò di abbandonare l’Unione
Europea per aderire al NAFTA [Accordo Nordamericano per il Libero
Scambio, North American Free Trade Agreement].
Trasformò la tutela degli interessi del proprio Paese sostituendo al
rispetto del Diritto Internazionale il riferimento ai Diritti Umani.
Si fece promotore delle politiche USA di Bill Clinton, poi di George
Bush junior, incoraggiando e giustificando l’allargamento dell’Unione
Europea, la “guerra umanitaria” contro il Kosovo, nonché il
rovesciamento del presidente iracheno Saddam Hussein. Nel 2006 elaborò
il piano delle “primavere arabe”, che sottopose agli USA.
Gordon Brown esitò a perseverare in questa politica e tentò di
recuperare un margine di manovra, ma fu investito dalla crisi
finanziaria del 2008, che riuscì comunque a superare.
David Cameron, insieme a Barack Obama, mise in atto il piano
Blair-Bush delle “primavere arabe”, segnatamente la guerra contro la
Libia, ma alla fine riuscì solo in parte a portare al potere i Fratelli
Mussulmani nel Medio Oriente Allargato. Diede le dimissioni dopo il voto
a favore della Brexit, quando però non era più all’ordine del giorno
l’adesione al NAFTA.
Theresa May avrebbe voluto che la Brexit riguardasse l’uscita dallo
Stato sovranazionale, istituito dal Trattato di Maastricht, ma non
l’uscita dal mercato a esso anteriore.
Fallì e fu sostituita dal biografo di Winston Churchill, Boris
Johnson, che decise di uscire totalmente dall’Unione Europea e di
riattivare la tradizionale politica estera del regno: lottare contro
ogni Stato concorrente del continente europeo.
Se Boris Johnson resterà al potere, negli anni a venire il Regno Unito dovrebbe tentare di aizzare, l’una contro l’altra, Unione Europea e Federazione di Russia.
La Repubblica francese
François Mitterrand non capì lo smembramento dell’URSS, spingendosi
fino a sostenere il putsch dei generali contro il presidente russo
Mikhail Gorbaciov. Vi scorse in ogni caso l’opportunità di costruire uno
Stato sovranazionale europeo, sufficientemente vasto da misurarsi con
Stati Uniti e Cina, ponendosi così in continuità con il tentativo
napoleonico.
Insieme al cancelliere Helmut Kohl promosse la riunificazione della Germania, nonché il Trattato di Maastricht.
Preoccupato per il progetto di fondazione degli Stati Uniti
d’Europa, il presidente Bush senior – fautore della “dottrina Wolfowitz”
per prevenire l’insorgenza di un nuovo sfidante della leadership degli
Stati Uniti – costrinse Mitterrand ad accettare che l’UE fosse protetta
dalla NATO e venisse allargata agli Stati ex membri del Patto di
Varsavia.
Mitterrand sfruttò la coabitazione e il ministro gollista
dell’Interno Charles Pasqua per combattere i Fratelli Mussulmani, che la
CIA aveva imposto in Francia e che l’MI6 utilizzava per allontanare la
Francia dall’Algeria. Jacques Chirac ebbe cura di implementare la potenza dissuasiva
francese, portando a termine gli esperimenti nucleari nel Pacifico prima
di passare alle simulazioni e di firmare il Trattato sulla messa al
bando degli esperimenti nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty – CTBT).
Contemporaneamente adattò le forze armate francesi alle necessità
della NATO, abolendo il servizio militare obbligatorio ed entrando nel
Comitato militare (di pianificazione) dell’Alleanza.
Sostenne l’iniziativa della NATO contro la Jugoslavia (guerra del Kosovo), ma – dopo aver letto e studiato L’incredibile menzogna [1]
– si mise a capo dell’opposizione mondiale all’aggressione dell’Iraq.
Una vicenda che consentì a Chirac di legarsi al cancelliere Schröder e
far progredire lo Stato sovranazionale europeo, da lui sempre concepito
come strumento d’indipendenza, aggregato attorno alla coppia
franco-tedesca.
Scosso dall’assassinio del partner in affari Rafic Hariri, il presidente
francese si rivoltò contro la Siria, indicata dagli Stati Uniti come
mandante dell’uccisione.
Annunciando una politica radicalmente diversa, Nicolas Sarkozy mise
le forze armate francesi al comando degli Stati Uniti, attraverso il
Comando integrato della NATO.
Tentò di allargare la zona d’influenza francese organizzando l’Unione per il Mediterraneo; progetto che però non funzionò.
Fece esperimenti rovesciando Laurent Gbagbo in Costa d’Avorio e,
benché fosse stato surclassato dalle primavere arabe di Tunisia ed
Egitto, mettendosi a capo dell’operazione NATO contro Libia e Siria.
Tuttavia, con senso realistico prese atto della resistenza siriana e si
ritirò dalle operazioni.
Portò avanti il progetto di costruzione degli Stati Uniti d’Europa
facendo adottare il Trattato di Lisbona dal parlamento, nonostante gli
elettori avessero respinto lo stesso testo sotto il nome di
“Costituzione europea”. Il Trattato di Lisbona, col pretesto di
modificare le istituzioni di un’Unione Europea di 27 Stati per renderle
più efficienti, ha trasformato in realtà profondamente lo Stato
sovranazionale, autorizzandolo a imporre la propria volontà agli Stati
membri.
Arrivato al potere senza preparazione, François Hollande si collocò,
con una certa rigidità, nella scia di Nicolas Sarkozy e ne adottò
l’ideologia. Firmò tutti i trattati negoziati dal predecessore – incluso
il Patto di stabilità europeo che permetterà di sanzionare la Grecia –
aggiungendovi ogni volta, quasi a scusarsi del voltafaccia,
dichiarazioni per esprimere il proprio punto di vista, ma senza
carattere vincolante. Autorizzò così l’installazione di basi militari
NATO sul territorio francese, mettendo fine in modo definitivo alla
dottrina gollista d’indipendenza nazionale. Ancora, proseguì la politica
di aggressione contro la Siria, lanciandosi in un rilancio verbale,
salvo poi non far nulla che non fosse su ordine della Casa Bianca.
Affidò una missione in Sahel all’esercito francese, rendendola di fatto
forza suppletiva di terra dell’AfriCom. Infine giustificò la Borsa di
scambio dei diritti d’emissione di CO2 con l’Accordo di Parigi sul
clima.
Eletto grazie al fondo d’investimento statunitensi KKR, Emmanuel
Macron è innanzitutto un difensore della globalizzazione secondo Bill
Clinton, George Bush junior e Barack Obama. Ciononostante ha rapidamente
adottato il punto di vista di François Mitterrand e di Jacques Chirac,
secondo cui uno Stato sovranazionale europeo permetterà alla Francia di
continuare a svolgere un ruolo internazionale conseguente, come però
adattato da Sarkozy-Hollande: l’unione deve consentire
l’assoggettamento.
Due linee di condotta che talvolta portano Macron a contraddirsi,
soprattutto di fronte alla Russia, ma che si ricongiungono nella
condanna del nazionalismo degli Stati membri dell’Unione Europea, di una
Brexit breve, nonché della volontà di ripristinare gli scambi
commerciali con l’Iran.
Negli anni a venire la Francia dovrebbe misurare le proprie decisioni in base al loro impatto sull’edificazione dell’Unione Europea. Cercherà prioritariamente di fare blocco con ogni potenza che lavori in questo senso.
Il cancelliere Helmut Khol scorse nello smembramento dell’impero
sovietico l’opportunità di riunire le due Germanie. Ottenne il via
libera dalla Francia, in cambio del sostegno tedesco al progetto di
moneta unica dell’Unione Europea, l’euro. Ottenne anche il consenso
degli Stati Uniti, che vi videro un mezzo indiretto per far entrare
l’esercito della Germania dell’Est nella NATO, nonostante fosse stato
promesso alla Russia che la Repubblica Democratica tedesca non vi
avrebbe aderito.
Realizzata l’unificazione della Germania, il cancelliere Gerhard
Schröder pose la questione del ruolo internazionale del Paese, ancora
non ripresosi dalla disfatta della seconda guerra mondiale. Sebbene la
Germania non fosse più militarmente occupata dalle quattro grandi
potenze, cionondimeno ospitava enormi contingenti USA, la sede
dell’EUCom nonché, in seguito, quella dell’AfriCom.
Schröder utilizzò la
guerra “umanitaria” contro il Kosovo per impiegare legalmente, per la
prima volta dal 1945, le truppe tedesche fuori del Paese. Rifiutò però
di riconoscere questo territorio conquistato dalla NATO come Stato. A
fianco del presidente francese Chirac, s’impegnò altresì fermamente
contro la guerra statunitense-britannica in Iraq, ribadendo che non
esistevano prove dell’implicazione del presidente Saddam Hussein negli
attentati dell’11 Settembre.
Tentò d’influire sulla costruzione di un’Unione Europea su basi
pacifiche.
Rafforzò anche i rapporti energetici con la Russia e propose un’Europa
federale sul modello tedesco, che includesse a termine anche la Russia,
scontrandosi però con la Francia, molto attaccata a un progetto di Stato
sovranazionale.
La cancelliera Angela Merkel è ritornata invece alla politica del suo
mentore, Helmut Khol, che nell’arco di una notte, da responsabile della
Gioventù comunista della Germania Democratica, l’issò a capo del
governo della Germania federale. Sotto stretta sorveglianza della CIA,
che non sapeva bene come inquadrarla, Merkel ha consolidato i legami
della Germania con Israele e Brasile. Nel 2013, su proposta di Hillary
Clinton, ha chiesto a Volker Perthes di studiare la possibilità di
rafforzare le forze armate tedesche per far loro svolgere un ruolo
centrale nel CentCom, qualora gli Stati Uniti avessero spostato le
proprie truppe verso l’Estremo Oriente. Ha ordinato che venisse studiato
il modo per gli ufficiali tedeschi d’inquadrare le forze armate
dell’Europa centrale e orientale e ha chiesto a Volker Perthes di
predisporre un piano per la capitolazione della Siria.
Molto attaccata alle strutture atlantiste ed europee, ha preso le
distanze dalla Russia e sostenuto il colpo di Stato nazista in Ucraina.
Ha preteso, in nome dell’efficienza, che l’Unione Europea potesse
imporsi agli Stati membri più piccoli (Trattato di Lisbona). Durante la
crisi finanziaria greca Merkel ha assunto un atteggiamento molto duro e
ha mosso con pazienza le proprie pedine nella burocrazia europea per far
eleggere Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione
europea.
Quando gli Stati Uniti si sono ritirati dalla Siria, ha
immediatamente reagito proponendo alla NATO che le truppe statunitensi
fossero sostituite da quelle tedesche, conformemente al piano del 2013.
Negli anni a venire la Germania dovrebbe favorire i possibili interventi militari nella cornice della NATO, in particolare in Medio Oriente, e diffidare del progetto di uno Stato sovranazionale europeo centralizzato.
Fattibilità
È molto strano sentir parlare oggi di “multilateralismo” e “isolazionismo”, di “universalismo” e “nazionalismo”. Sono problemi che non si pongono dato che, sin dalla conferenza dell’Aia del 1899, si è consapevoli che il progresso delle tecniche rende tutte le nazioni solidali. Questa verbosità male nasconde la nostra incapacità a prendere atto dei nuovi rapporti di forza e a immaginare un ordine del mondo il meno ingiusto possibile.
Soltanto le tre grandi potenze possono sperare di aver i mezzi per
realizzare la propria politica. Esse possono raggiungere i propri fini
senza fare la guerra, ma soltanto seguendo la linea russa che si fonda
sul Diritto Internazionale. Tuttavia, il pericolo di un’instabilità
politica interna negli Stati Uniti ora più che mai fa serpeggiare la
minaccia di uno scontro generalizzato.
Lasciando l’Unione, i britannici si sono messi nella condizione di
dover ricongiungersi agli Stati Uniti (cosa che Donald Trump rifiuta),
pena la sparizione politica. Germania e Francia, nazioni in declino, non
hanno altra scelta che costruire l’Unione Europea. Per il momento
valutano in modo diverso il tempo a disposizione e la immaginano in modi
fra loro incompatibili; il che potrebbe indurle a smembrare l’Unione
Europea.
Rachele Marmetti
Giornale di bordo
Fonte articolo: https://www.voltairenet.org/
®wld
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