Chi siamo? Da dove veniamo? Sono domande
che ci interpellano da sempre. «La maggior parte dell’umanità è
predisposta alla sottomissione: gente inconsapevole, gestita
completamente». Lo scrive in un libro il biologo Giovanni Cianti,
in una considerazione erroneamente attribuita a Carlos Castaneda. «Chi
ha capito, ha capito: non ha bisogno di consigli. Chi non ha capito, non
capirà mai. Io non biasimo queste persone», scrive Cianti: «Sono
strutturate per vivere, e basta: mangiare, bere, respirare, partorire,
lavorare, guardare la televisione
e mangiare la pizza il sabato sera, andare a vedere una partita. Il
mondo, per loro, finisce lì: non sono in grado di percepire altro. C’è
invece un piccolissimo gruppo di esseri umani, che possono essere
definiti “difetti di fabbricazione”. Sono sfuggiti al “controllo
qualità” della linea di produzione. Sono pochi, sono eretici e sono
guerrieri». Mi piace molto, questa frase, forse perché anch’io sento di
appartenere a questa minoranza. Ma non è solo questione di rifiutare i
dogmi, le imposizioni, e di sentirsi guerrieri. E’ anche una questione
di sensibilità. Si tratta di porsi domande, di chiedersi sempre il
perché delle cose.
E infatti, tutte le grandi tradizioni
spirituali – quelle autentiche, dell’antichità, quelle cioè che hanno
preceduto l’era dei dogmi – hanno sempre spinto le persone a porsi
domande. Tutte le grandi tradizioni iniziatiche dell’antichità erano
finalizzate al risveglio della coscienza e della
percezione, all’apertura di certi canali che noi possediamo
naturalmente, ma che magari non sappiamo come utilizzare. Sono canali di
comunicazione tra macrocosmo e microcosmo. Comunicazione diretta: sono
dei portali, che abbiamo dentro di noi. Molte persone, semplicemente, li
ignorano: non si pongono nemmeno il problema della loro esistenza. Nel
libro “Resi umani“,
scritto con Mauro Biglino, il biologo molecolare Pietro Buffa riflette
sulla nostra parentela con lo scimpanzé: il cucciolo di scimpanzé e il
“cucciolo d’uomo” sono praticamente indistinguibili. Poi lo scimpanzé
adulto si trasforma e si allontana molto da noi, mentre l’uomo adulto
conserva i tratti delle specie domestiche, con scarsissima aggressività,
e mantiene i caratteri morfologici del cucciolo, come gli occhi grandi
rispetto al resto del corpo: un fenomeno che gli scienziati chiamano
“neotenia”.
Siamo stati “domesticati” da qualcuno,
che ci ha “fabbricati” con la genetica? Lo dicono i testi sumeri:
raccontano che gli Anunnaki “crearono” gli Igigi, loro servitori,
progettati per lavorare al posto loro, nelle miniere. La nascita degli
Igigi ricorda da vicino quella degli Adamiti, che la Bibbia attribuisce
agli Elohim. Nella tradizione eleusina, i nostri “creatori” sono gli dèi
Titani. Per la precisione, quattro di loro: Atlante, Menezio, Prometeo
ed Epimeteo, figli di Giapeto. Da cui la Stirpe Giapetide, ottenuta
anche in quel caso con l’ingegneria genetica. La nostra sarebbe la
Quinta Umanità, anche per Esiodo. In vari testi antichi si allude a
interventi numerosi e ripetuti, attraverso varie fasi del nostro
passato. Si parla di una civiltà avanzata, sbarcata sulla Terra in
un’epoca incredibilmente remota. La Terra: un pianeta ottimale
per la vita, abitabile, con enormi risorse naturali da sfruttare. Solo
che, magari, i primi “pionieri” erano in pochi: un’avanguardia di
sparuti colonizzatori.
Per ottenere lavoratori, questi pionieri
hanno incrociato i loro geni con quelli di alcuni tipi di primati, al
fine di ottenere manodopera a costo zero? Si tratta di un’ipotesi
inquietante, come è inquietante che l’umanità attuale presenti tanti
segni di soggezione, di sottomissione. Non è un mistero, per psicologi e
sociologi: l’Homo Sapiens attuale è estremamente manipolabile,
suscettibile di indottrinamenti. Tutte le grandi religioni
(monoteistiche, in particolare) hanno sempre imposto dogmi: non
spingersi oltre, non cogliere il frutto proibito, non porsi domande,
accettare il dogma di fede. E’ la basilare forma di indottrinamento, che
nelle religioni monoteistiche accompagna l’essere vivente dalla culla
alla tomba. Ci viene insegnato a credere, e tutto il sistema
si regge su questo. Proprio tutto? Secondo certe interpretazioni,
alcune manipolazioni genetiche sarebbero avvenute in epoche assai
remote, prima di 200.000 anni fa, e avrebbero portato alla nascita di
alcuni ceppi del Sapiens. Secondo invece la tradizione misterica
eleusina, sarebbe avvenuta una successiva manipolazione, ad opera dei
Titani, attorno all’anno 80.000 avanti Cristo.
Molto plausibilmente, questa seconda
manipolazione dette vita all’Uomo di Cro-Magnon, un ceppo del Sapiens
particolarmente evoluto. E’ un enigma, per la storia, perché il
Cro-Magnon nasce già avanzato, con elevatissime proprietà di linguaggio e
con una struttura sociale organizzata, e si diffonde in buona parte
dell’emisfero occidentale. La sua comparsa può aver turbato certi
processi precedenti? Ha generato un’anomalia? Una falla, nella
cosiddetta Matrix? Secondo determinate teorie, il Cro-Magnon sarebbe
l’Uomo di Atlantide: proprio quella particolare
umanità che gli dèi Titani avrebbero creato a loro immagine e
somiglianza, e che avrebbe generato una propria civiltà in quello che
era un grande continente, oggi scomparso, nell’Altantico settentrionale.
Doveva essere un continente che poi
sarebbe stato distrutto nell’ambito di una grande guerra, che ci viene
descritta nella “Teogonia” di Esiodo come la Titanomachia, una guerra
combattuta fra dèi. Secondo certi testi mitologici, questo cosiddetto
Primo Impero di Atlantide avrebbe cessato il proprio percorso storico
attorno al 19.000 avanti Cristo. Poi, la civiltà umana del Cro-Magnon
sarebbe risorta dalle proprie ceneri (dalle palafitte, dalle caverne)
fino a tornare grande, organizzata e civile, e a conquistare vastissimi
territori, incluso il bacino mediterraneo, il Medio Oriente, buona parte
dell’Africa e le Americhe. Sempre secondo alcune interpretazioni,
questa particolare parte di umanità avrebbe dato molto fastidio, a certi
gestori della Matrix. Lo so, sembra di sconfinare nella fantascienza. E
sia: facciamo finta che
sia fantascienza. Dunque, immaginiamo che questo sia vero, e che tanti
altri ceppi umani siano frutto di una manipolazione finalizzata
esclusivamente all’assoggettamento e alla “domesticazione”, per
diventare forza lavoro gratuita.
Tutto questo può aver fatto comodo, a certi schemi di potere
che poi, di volta in volta, hanno dovuto ricorrere a forme
manipolative. Come una sorta di “tagliando”: ogni tanto è stato
necessario, nella storia,
per certe élite di potere, ricorrere a ulteriori giri di vite, a
ulteriori interventi manipolativi a livello concettuale, di dogma, di
pensiero religioso, giusto per riportare questa umanità nei binari
prestabiliti. Immaginiamo però che una parte di umanità sia sfuggita, a
questa logica. Immaginiamo che abbia portato avanti una civiltà libera
da questi schemi, libera da certi dogmi, e che questa parte di umanità
sia sempre stata contrastata da certi poteri. Poi, la distruzione della
Seconda Atlantide (fra il 10800 e il 9600 avanti Cristo, a causa di un
cataclisma di origine cosmica) ha segnato di nuovo un duro colpo, per
questa umanità.
Cos’è rimasto, di quella civiltà? La
Creta minoica e certe altre civiltà del Mediterraneo, anch’esse poi
messe a dura prova dagli eventi, con la fine del matriarcato e l’avvento
del patriarcato, e con lo scontro tra religioni avvenuto con la Guerra
di Troia (fra l’antico culto degli dèi Titani e il culto dei nuovi dèi
olimpici). Tutto ci porterebbe a credere che il Cro-Magnon sia stato una
sorta di anomalia nell’anomalia. So benissimo che questo è un campo
minato: nessun antropologo ammetterà mai che possano esistere ceppi
umani con origini diverse. Loro tendono sempre a ricondurre tutto agli
eredi dei grandi primati, in modo lineare, con una discendenza diretta.
Effettivamente, il problema del fenotipo che ci differenzia è
inquietante. Io posso citare interpretazioni fornite da studiosi sulla
soglia dell’eresia. Già nell’800, ad esempio, il fatto degli occhi
a mandorla presenti nel fenotipo orientale (che non ha nessuna
giustificazione apparente, per quanto riguarda la vita sulla Terra) è
stato associato ipoteticamente ad un incrocio con delle “razze” (o
meglio, delle civiltà) provenienti da un pianeta con una luminosità
molto maggiore della nostra, quindi magari con una stella molto più
luminosa del nostro sole. Se è vero che questi “creatori” hanno
utilizzato dei loro geni, può essere un carattere che si è trasferito:
altrimenti gli occhi a mandorla non avrebbero alcuna giustificazione, se
non – appunto – per proteggere gli occhi da una forte luce. E’ solo
un’ipotesi, naturalmente.
Anche il fatto della pigmentazione scura
non ha nessun rapporto con i climi tropicali, dove infatti troviamo
anche popolazioni native con pelle molto più chiara. E’ come se questi
ceppi umani avessero effettivamente delle origini diverse. Ma questo
rappresenta una pericolosissima eresia, per gli antropologi attuali.
Sono cose che non si possono dire, anche perché, solitamente, chi avanza
queste ipotesi viene accusato di razzismo. Ma qui non si tratta
assolutamente di razzismo, nel senso di discriminazione razziale. Non ha
senso parlare di discriminazione: si tratta semplicemente di ipotizzare
le origini di questi fenotipi. Gli aborigeni, i nativi americani dalla
pelle rossa: ognuno sembra raccontare qualcosa di diverso. Alcuni hanno
folta peluria, altri meno. Per noi, l’eliminazione della peluria è
diventata quasi un’ossessione. Come se si volesse arrivare ad
assomigliare a questi “attori terzi”, o all’elemento “creatore”
originario.
Lo stesso discorso della peluria si
collega alla questione della “neotenia”, cioè il mantenimento dei tratti
giovanili che caratterizza anche l’adulto nel solo caso dell’Homo
Sapiens: tratti che poi l’uomo vuole mantenere a tutti i costi. Come se,
inconsapevolmente, cercassimo di scavare in un ipotetico passato,
remotissimo. A questo proposito trovo impressionante un frammento di un
antico testo misterico, attribuito alla
letteratura atlantidea e tramandato dalla tradizione eleusina,
pubblicato per la prima volta (a pagina 518) nel mio libro “I Minoici in
America e le memorie di una civiltà perduta”, appena uscito. «Un tempo –
vi si legge – la Stirpe di En’n (cioè l’umanità) non era ospite nella
Casa della Dea Taéa, ma aveva stabile dimora nella Grande Casa di
Shanal, e compiva viaggi per le rotte di Nehéfre (fra le stelle). Questo
per tutto il tempo che i Padri-Madri Phykkhesh-Tàu imperarono nella
Grande Casa». Phykkhesh-Tàu è il pianeta della costellazione della
Balena, il sistema solare di Tau-Ceti da cui gli eleusini fanno discendere i Titani.
«Distrutto il loro Impero, anche le
progenie di En’n figlio dei Phykkesh-Tau caddero in disgrazia ed ebbero
rifugio solo nella Casa di Taéa», continua il testo. «E nella Casa di
Taéa la progenie di En’n, privata delle scienze della Mente Cosmica,
dovrà restare tante generazioni quante vissero per Nehéfre nella Grande
Dimora di Shanal. Ma la progenie di En’n col passar delle generazioni –
prosegue il frammento – dimenticò la sua naturale origine, facendo di
ciò che fu realtà il mito, e allora gli Dei, Giusti e Veraci, mandarono
alla progenie di En’n ospite nella Casa di Taéa, luogo d’esilio, il Dio
che guarda Nehéfre per concepimento di Anuve, affinché fosse ricordo
alla progenie di En’n dove è la sua Vera Casa e quale l’origine della
Stirpe, e che il destino dei figli di En’n figlio dei Phykkhesh-Tau è di
tornare donde venne, perché la progenie di En’n non può rimanere
eternamente in esilio nella Casa di Taéa, essendo questa estranea alla
sua origine». E’ incredibile: praticamente, quel testo ci parla di una
nostra origine stellare, e di un nostro destino finalizzato al ritorno
alle stelle.
Visto che siamo in tema di citazioni, propongo un testo appena scritto sul suo sito da Elisa Renaldin,
che è un’attrice e regista teatrale. Fa una considerazione molto
profonda, che si ricollega al discorso che ho fatto adesso. «Continuo a
leggere da tutte le parti che l’anima sarebbe qui per evolvere»,
premette Elisa. «Vi dirò che non credo a questa storiella. O almeno, non
ci credo nei termini in cui viene presentata». E spiega: «Collocare
l’anima al pari di un ego infantile che deve crescere, ed è qui per
imparare, lo trovo degradante per la natura intrinseca dell’anima:
è un altro modo per dirci che siamo piccoli e miseri esseri incapaci.
Giunti quaggiù per fare che cosa? Per “migliorare”: ma stiamo
scherzando? Se noi arriviamo da lassù, prima cosa, significa che abbiamo
origine da un punto della coscienza oltremodo evoluto e sviluppato. Che
poi, scendendo qui, ci dimentichiamo chi siamo, veniamo deviati
dall’inizio alla fine e ci perdiamo per la strada, questo è un altro
paio di maniche».
«Tuttalpiù – continua Elisa Renaldin –
siamo qui per ricordare. Ricordare che cosa? Chi siamo. Ce ne
dimentichiamo, per una serie di ragioni che qui sarebbe troppo lungo
trattare. Ma questo è ciò che io sento come vero. Ad ogni incarnazione
aggiungiamo un pezzo al puzzle della nostra memoria. Ci avviciniamo ogni
volta un po’ di più al ricordo di sé, ed è questo il vero scopo. Se per
evolvere intendiamo questo, allora possiamo essere d’accordo. Ma se per
evolvere intendiamo imparare, come se fossimo dei bambini incapaci,
allora no. E perché alcuni sembrano più evoluti di altri? Si trovano
solo in punti differenti del ricordo di sé. Chi si riunifica alla sua
identità (divina, o coscienziale) modifica il suo approccio alla vita, e
quindi modifica pensieri, sentimenti, comportamenti ed energie. Come
facciamo, a ricordarci di noi? Esercitandoci a rimanere il più a lungo
possibile nello stato di presenza. E sbarazzandoci degli orpelli inutili
che ci hanno appicciato addosso: credi, memi, ideologie, dogmi, e via
discorrendo. Insomma, uscendo dai recinti percettivi che ci hanno
costruito addosso».
Con questo testo, Elisa Renaldin ha
centrato pienamente l’essenza dei Misteri Eleusini. Gliel’ho scritto, in
un messaggio che le ho inviato: i Misteri Eleusini insegnano proprio
questo. Insegnano alle persone a ritrovare il proprio sé, quindi la
propria identità, stabilendo correttamente il proprio percorso.
Probabilmente la specie umana è stata addomesticata, da qualcuno.
Ammesso e non concesso che si riesca a farlo, sta a noi scoprire se
questo è vero, o no. Quindi non accontentiamoci dei dogmi della scienza,
non accontentiamoci della storia per
come ci viene raccontata: perché, se magari ci hanno imposto una certa
“domesticazione” (assimilabile alla famosa Matrix, quella dei film che
ben conosciamo) possiamo anche imparare a uscirne, a rifiutarla.
L’importante è crescere: far crescere il nostro sé, la nostra coscienza,
dal punto di vista evolutivo. Poi potremo anche decidere: se continuare
ad essere animali addomesticati, o invece diventare uomini e donne
liberi.
(Nicola Bizzi, dichiarazioni rilasciate nella diretta web-streaming “ll Sentiero di Atlantide – Homo Sapiens“, trasmessa il 18 aprile 2021 sul canale YouTube “Facciamo finta che“, di Luca Lamberti. Storico
ed editore di Aurora Boreale, nonché iniziato alla tradizione dei
Misteri Eleusini, Bizzi ha pubblicato saggi di estremo interesse, come “Da Eleusi a Firenze“, che aprono squarci inattesi sulla nostra storia,
partendo dalla documentazione riservata della comunità eleusina. Un
filone di indagine che continua nell’ultimo saggio, appena uscito:
Nicola Bizzi, “I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta“, Edizioni Aurora Boreale, 616 pagine, euro 28,50, disponibile anche in versione epub, euro 11,99).
Pubblicato sul sito web: https://www.libreidee.org/
®wld